domenica 18 settembre 2011

Audite Poverelle




"Audite Poverelle" è un testo che è stato attribuito a Francesco D'Assisi, ma non si è certi che sia suo. E a mio modesto parere non lo è. Il testo,infatti, è forse un po primitivo, nel senso buono. Si tratta comunque di una cosa bellissima per la lingua. E' la lettera che Francesco scrive per il raduno delle Clarisse."
(Angelo Branduardi)

Cantico delle Creature



Il primo testo in volgare, del XIII secolo (S.Francesco).
800 anni dopo, l'incontro fra due grandi artisti.

Una vita ben spesa


"Questo è il senso di una vita ben spesa: qualcuno che ti ama anche quando stai male. Qualcuno che sopporta il tuo odore. Solo chi ama il tuo odore ti ama davvero. Ti dà forza e ti dà serenità. E mi sembra un bel modo di mettere una diga ai dolori che capitano nella vita".

da “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia

Sogno


“Solo quando l’uomo ha fede in ciò che è al di sopra della sua portata – questo è un sogno – l’umanità fa quei passi in avanti che l’aiutano a credere in se stessa”.

da “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia

la Storia


“Cosa c’entra questo con l’insegnare storia e filo, prof?”
Mi fissa.
“La storia è un pentolone pieno di progetti realizzati da uomini divenuti grandi per aver avuto il coraggio di trasformare i loro sogni in realtà, e la filosofia è il silenzio nel quale questi sogni nascono…
La storia, insieme alla filosofia, all’arte, alla musica, alla letteratura, è il miglior modo per scoprire chi è l’uomo. Alessandro Magno, Augusto, Dante, Michelangelo… tutti uomini che hanno messo in gioco la loro libertà al meglio e, cambiando se stessi, hanno cambiato la storia. In questa classe magari ci sono il prossimo Dante o Michelangelo... Magari potresti essere tu!”

da “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia

i Sogni


“Tutto qui?”
Il supplente si alza in piedi, rimane in silenzio. Si siede sulla cattedra.
“Tutto qui. Mio nonno quel giorno mi spiegò che noi siamo diversi dagli animali, che fanno solo quello che la loro natura comanda. Noi invece siamo liberi. E’ il più grande dono che abbiamo ricevuto. Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo. La libertà ci consente di sognare e i sogni sono il sangue della nostra vita, anche se spesso costano un lungo viaggio e qualche bastonata. “non rinunciare mai ai tuoi sogni! Non avere paura di sognare, anche se gli altri ti ridono dietro” così mi disse mio nonno, “rinunceresti a te stesso”.

da "Bianca come il latte, rossa come il sangue" di Alessandro D’Avenia

foto di Valerio Nassi

sabato 30 luglio 2011

il piccolo principe (9)



E ritornò alla volpe.
“Addio”, disse.
“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (8)



Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente”, disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. “Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle).
Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa”.


Antoine de Saint-Exupéry

il piccolo principe (7)



“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “… piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
“E’ vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“E’ certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.
Poi soggiunse: “Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo.”


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (6)



“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (5)



“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire”, disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (4)





In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo…”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “sei molto carino…”
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, “sono così triste…”
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! Scusa”, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire “addomesticare”?”
“Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe, “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe. “Che cosa vuol dire “addomesticare”?”
“Gli uomini”,disse la volpe, hanno dei fucili e cacciano. E’ molto noioso! Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “addomesticare”?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare dei legami”…”


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (3)



Io credo che egli approfittò, per venirsene via, di una migrazione di uccelli selvatici. Il mattino della partenza mise bene in ordine il suo pianeta.

Ma tutti quei lavori consueti gli sembravano, quel mattino, estremamente dolci. E quando innaffiò per l’ultima volta il suo fiore, e si preparò a metterlo sotto la campana di vetro, scoprì che aveva una gran voglia di piangere.
“Addio”, disse al fiore.
Ma il fiore non rispose.
“Addio”, ripetè.
Il fiore tossì. Ma non era perché fosse raffreddato.
“Sono stato uno sciocco”, disse finalmente, “scusami, e cerca di essere felice”.
Fu sorpreso dalla mancanza di rimproveri. Ne rimase sconcertato, con la campana di vetro per aria. Non capiva quella calma dolcezza.
“Ma sì, ti voglio bene”, disse il fiore, “e tu non l’hai saputo per colpa mia. Questo non ha importanza, ma sei stato sciocco quanto me. Cerca di essere felice. Lascia questa campana di vetro, non la voglio più”.
“Ma il vento…”
“Non sono così raffreddato. L’aria fresca della notte mi farà bene. Sono un fiore”.
“Ma le bestie…”
“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle. Se no chi verrà a farmi visita? Tu sarai lontano e delle grosse bestie non ho paura. Ho i miei artigli”.
E mostrava ingenuamente le sue quattro spine. Poi continuò:
“Non indugiare così, è irritante. Hai deciso di partire e allora vattene”.
Perché non voleva che io lo vedessi piangere.
Era un fiore così orgoglioso…


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (2)




Così il piccolo principe, nonostante tutta la buona volontà del suo amore, aveva cominciato a dubitare di lui. Aveva preso sul serio delle parole senza importanza che l’avevano reso infelice.
“Avrei dovuto non ascoltarlo”, mi confidò un giorno, “non bisogna mai ascoltare i fiori. Basta guardarli e respirarli. Il mio, profumava il mio pianeta, ma non sapevo rallegrarmene.”

E mi confidò ancora:
“Non ho saputo capire niente allora! Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei mai dovuto venirmene via! Avrei dovuto indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I fiori sono così contraddittori! Ma ero troppo giovane per saperlo amare”.


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (1)




C’erano sempre stati sul pianeta del piccolo principe dei fiori molto semplici, ornati di una sola raggiera di petali, che non tenevano posto e non disturbavano nessuno. Apparivano un mattino nell’erba e si spegnevano la sera. Ma questo era spuntato un giorno, da un seme venuto chissà da dove, e il piccolo principe aveva sorvegliato da vicino questo ramoscello che non assomigliava a nessun altro ramoscello. …
Ma l’arbusto cessò presto di crescere e cominciò a preparare un fiore. Il piccolo principe, che assisteva alla formazione di un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe uscita un’apparizione miracolosa, ma il fiore non la smetteva più di prepararsi ad essere bello, al riparo della sua camera verde. Sceglieva con cura i suoi colori, si vestiva lentamente, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. Non voleva uscire sgualcito come un papavero. Non voleva apparire che nel pieno splendore della sua bellezza. Eh sì, c’era una gran civetteria in tutto questo! La sua misteriosa toeletta era durata giorni e giorni. E poi, ecco che un mattino, proprio all’ora del levar del sole, si era mostrato.
E lui, che aveva lavorato con tanta precisione, disse sbadigliando:
“Ah! Mi sono svegliato ora. Ti chiedo scusa… sono ancora tutto spettinato…”
Il piccolo principe allora non poté frenare la sua ammirazione:
“Come sei bello!”
“Vero”, rispose dolcemente il fiore, “e sono nato insieme al sole…”
Il piccolo principe indovinò che non era molto modesto, ma era così commovente!


Antoine de Saint-Exupéry

Il piccolo principe (dedica)




A LEONE WERTH

Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande è il miglior amico che abbia al mondo. Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto, anche i libri per bambini; e ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata. E se tutte queste cose non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano). Perciò correggo la mia dedica:

A LEONE WERTH

QUANDO ERA UN BAMBINO


Antoine de Saint-Exupéry

martedì 21 giugno 2011

più l'età avanza, più queste parole sono vere: sono divenute volti, fatti, ricordi, presente.




BALLATA DELL'UOMO VECCHIO

(Parole e musica di Claudio Chieffo)

La tristezza che c'è in me,
l'amore che non c'è
hanno mille secoli
il dolore che ti dò,
la fede che non ho,
sono vecchio, sì
questo Tu lo sai,
ma resti qui.

lo vorrei vedere Dio,
vorrei vedere Dio
ma non è possibile:
ha la faccia che tu hai,
il volto che tu hai
e per me è terribile.
Sono vecchio ormai,
sono vecchio, sì
questo Tu lo sai,
ma resti qui.

Ascoltami,
rimani ancora qui
ripeti ancora a me
la tua parola;
ripetimi quella parola che
un giorno hai detto a me
e che mi liberò.

lo vorrei vedere Dio
vorrei vedere Dio
ma non è possibile:
ha la faccia che tu hai,
il volto che tu hai
e per me è terribile.
Sono vecchio ormai,
sono vecchio, sì
questo Tu lo sai,
ma resti qui.

La paura che c'è in me,
l'amore che non c'è
hanno mille secoli;
tutto il male che io so,
la fede che non ho
hanno mille secoli.
Sono vecchio ormai,
sono vecchio, sì
ma se Tu vorrai mi salverai.

Ascoltami, rimani ancora qui
ripeti ancora a me la Tua parola;
ripetimi quella parola che
un giorno hai detto a me
e che mi liberò.

martedì 31 maggio 2011

Ma i versi significano così poco, quando li si scrive in troppo giovine età! Bisognerebbe aver la forza di attendere: raccogliere in sé per tutta una vita.
Per tutta una lunga vita, possibilmente - i succhi più dolci; e solo allora, solo alla fine riusciremmo a scrivere non più di dieci righe di poesia.
Perché i versi non sono - come tutti ritengono - sentimenti. Di questi si giunge rapidi a un precoce possesso. I versi sono esperienze. Per scriverne anche uno soltanto, occorre aver veduto molte città, molti uomini, molte cose.
Occorre conoscere a fondo gli animali. Sentire il volo degli uccelli; sapere i gesti dei piccoli fiori quando si schiudono all'alba.
Occorre poter ripensare a sentieri dispersi in contrade sconosciute; a incontri inattesi; a partenze a lungo presentite imminenti; a lontani tempi di infanzia ravvolti tutt'ora nel mistero; al padre e alla madre, che eravamo costretti a ferire, quando ci porgevano una gioia incompresa da noi perché fatta per altri; alle malattie di puerizia, che così stranamente si manifestavano, con tante e così profonde e gravi metamorfosi; a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte; a mattini sulla riva del mare; al mare; a tutti gli oceani; a notti di viaggio che scorrevano altissime via, volando sonore con tutte le stelle.
E non basta. Occorre poter ricordare molte notti d'amore, sofferte e godute: e l'una, dall'altra, diversa; grida di partorienti; lievi e bianche puerpere che risarcivano in sonno la ferita. Occorre aver assistito dei moribondi, aver vegliato lunghe ore accanto ai morti, nelle camere ardenti, con le finestre chiuse e i rumori che v'entrano a flutti. E anche ricordare non basta.
Occorre saper dimenticarli i ricordi, quando siano numerosi; possedere la grande pazienza d'attendere che ritornino. Perché i ricordi, in sé, non sono ancora poesia. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e più non si distinguono dall'essere nostro - solo allora può avvenire che in un attimo purissimo di grazia dal loro folto prorompa e si levi la prima parola di un verso.


Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge

giovedì 19 maggio 2011

William Wallace



"...Siete venuti a combattere da uomini liberi e uomini liberi siete Senza libertà cosa farete? Combatterete? Certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo, almeno per un po'... Agonizzanti in un letto fra molti anni da adesso siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere l'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita, ma che non ci toglieranno mai la libertà"

La Rocca

Vedo la Rocca
Avvicinarsi. Forse darà risposta a tutti i nostri dubbi.
La Rocca. Colei che veglia. La Straniera.
Colei che ha visto cosa è accaduto.

da "Cori da La Rocca"

Venti secoli

Dov'è la Vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov'è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?
Dov'è la sapienza che abbiamo perduto
nell'informazione?

I cicli del Cielo in venti secoli
...Ci portano più lontani da DIO e più vicini alla Polvere.

da "I cori da La Rocca"

Conoscenza

Conoscenza del linguaggio, ma non del silenzio;
Conoscenza delle parole, e ignoranza del Verbo.
Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza,
Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino all morte.
Ma più vicino alla morte non più vicini a Dio.


da "I cori da La Rocca"

Dove le travi sono marcite, costruiremo con nuovo legname

In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C'è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro.

da "Cori da La Rocca"

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